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leuma e lia 45

servizio di merci, figurati, e sta fermo una buona mezz'ora alla stazione. Non so come ci siamo trovati per un momento soli nello scompartimento di prima classe, io e lei. Il babbo, mi pare, stava facendo i biglietti e la mamma parlava nella saletta d'aspetto con una signora: fatto è che eravamo soli.

«Adesso mi leverò il cappello se no si sporca tutto,» disse Lia; e posò la pamela sopra la reticella, e poi si mise tranquillamente a guardare dal finestrino dalla parte dell'ombra come se da quella apertura ambulante del treno si fosse già cominciato a scorgere qualche cosa del vasto mondo che ella desiderava di conoscere: si sentivano al di là della siepe cantar le cicale nel silenzio dei campi che mandavano dei bagliori di oro, giacchè il grano non era stato mietuto. Indovina a cosa pensavo? Pensavo a quello che i greci dicevano a proposito delle cicale, cioè che sono divini e melodiosi animali. Mi pareva che avessero ragione quegli antichi umani, e cioè che intendessero il mondo della natura diversamente e con più felicità di noi. Cose leggiere, liete e misteriose esistono nel mondo che noi non sentiamo perchè sono oppresse dalla nostra guerra umana e dalla nostra tristezza! A questo pure io pensavo.