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144 | nella terra dei santi e dei poeti |
dirò che numerose imagini movevano da quella targa, da quella casetta, da quel palagio e mi opprimevano di uno spasimo che le parole son corte ad esprimere.
- Adesso è tanto che è morta! - disse il giovane con timidezza, quasi per confortarmi, e parea rimorso di aver ricordato cose che mi aveano dato dolore. Ma io allora mi sciolsi in fretta da lui, che rimase assai meravigliato, e in fretta entrai nella chiesa di Montemorello che è lì di fianco: mi venne giù una gran quantità di lagrime. Mi inginocchiai e mi sentii il bisogno di pregare non so chi nè perchè. In quell'ora mattutina la chiesetta era deserta. Ai lati del presbitero due banchi portavano la scritta Gentis Leopardæ. Gli occhi dell'anima mia vedevano il giovane poeta esangue, in compagnia della sua austera famiglia, immobile, col bavero del ferraiuolo alla bocca. Si levava l'ostia consacrata fra gli incensi. Tutti si chinavano. Egli pensava invece ad Arimane potente! Ed anche per questo pensiero seguitai a lagrimare. Ora a mente calma le trascrivo queste cose e senza vergogna, benchè sappia che se queste parole dovessero cadere sotto gli occhi di alcuna persona savia alla maniera moderna ne avrei mala ingiuria di anima guasta e offesa.