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maggior larghezza alle arterie del movimento; chi vuole infine piazze più spaziose, chi più frequenti. La stessa Commissione infatti nell’esame del piano presentatole, ha dovuto alquanto piegare a questa successione di idee; e se forse era da prima disposta a stralciare, come eccessiva, qualche apertura, o qualche correzione di strade, che il disegno indicava, ha poi terminato col domandare l’aggiunta di opere di grande momento nel senso edilizio, e nelle conseguenze economiche.
Nè ciò deve recar meraviglia; imperocchè non è il piano di una contrada, o d’una Regione di Roma, che si vuole dal Comune, ma dell’intiera città, per una popolazione doppia di quella che conteneva nel 1870, con i comodi chiesti dalla vita odierna nei grandi centri degli affari e dei traffici, cogli abbellimenti e le agiatezze indispensabili al decoro della Capitale del Regno. D’altronde i piani regolatori per l’assetto edilizio e per l’ampliamento delle città che ne abbisognano, sono autorizzati da una legge provvida, la quale più che ad impegnare immediatamente i Comuni all’esecuzione delle opere, è intesa ad impedire che vi si pongano inciampi con nuove costruzioni, per fatto di privati proprietari, o di speculatori, i quali, con qualche spesa e miglioria nei beni propri o appositamente acquistati, riescono a procacciarsi enormi guadagni, appena la necessità costringa i Comuni a domandare il diritto di espropriazione. Esempi vari sì potrebbero citare, e in questi ultimi mesi assai frequenti: tantochè sarebbe preferibile non avere un progetto di piano regolatore, di quello che avendolo, non farlo quanto più presto si