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negli intervalli dei ruderi, e tracciare delle strade a scomparto irregolare, che rispettino e circondino gli antichi avanzi. Il Celio ha già il suo giardino, volgarmente detto l’Orto Botanico, e fra il Celio e l’Aventino vi sarebbe la maestosa contrada delle antichità comprendente l’Anfiteatro Flavio, gli Archi, il Fôro, il Palatino da circondarsi di stradoni e di alberi. Il quartiere in Prati avrà anche esso il suo giardino, demolendo le caserme e le casematte nell’interno della cinta bastionata da ridursi a semplice parapetto con cancelli, e facendovi piantagioni attraversate da strade, in comunicazione con quelle del quartiere che vi mettono capo. Il Trastevere ha già il giardino a S. Pietro in Montorio; e la città bassa alla destra del Tevere ha quello elegantissimo del Pincio.

Tutti questi o nuovi o esistenti giardini pubblici non offrono però il commodo di estesi passeggi, in ispecie per i cocchi, e per cavalcare: epperò nel disegno del piano regolatore si è procurato di rimediare alla mancanza con un amplissimo giro di viali, che a seconda dei luoghi potranno comportare o due o quattro file regolari di alberi. Essi sono studiati in modo da mettere in comunicazione tutti gli indicati giardini; abbracciano tutta la periferia o abitata o destinata a novelle abitazioni, e con accorgimento si sviluppano in luoghi di importanza archeologica, e d’onde si possono scorgere le più belle viste della città e della campagna; al quale effetto taluna volta si preferisce percorrere qualche tratto all’esterno delle mura. Gioverà indicarne il giro principale. Il pomerio interno iniziato al Castro Pretorio continua fino al di là della nuova