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Questa ritornò tosto col the.

Sergio poggiò la tazza sul mobile vicino al suo letto, e, leggendo sempre la scritta della moglie, o sorbendo a centellini la bevanda profumata, le disse:

— Andremo a continuare.

— Dammi i fogli allora — rispose Regina.

— Prendi un altro quinterno — replicò Sergio senza levar gli occhi dal manoscritto.

— Non v’è che della carta a lettere.

— Ma! la carta a lettere è pur della carta, perdio! — sclamò Sergio con impazienza, leggendo sempre. — Scrivi dunque.

Regina prese un foglietto, e, la penna in aria, aspettò in silenzio che suo marito dettasse.

Sergio continuò:

«L’è troppo tardi, amico mio. Tu m’ài colpita del tuo disprezzo e m’ài minacciata di abbandono. La calunnia mi à ferita. Io sono sola. Non posso dunque lottare; non voglio più restare in piedi nella lotta.

«Se tu mi avessi creduta, io avrei resistito, ed avrei forse provato al mondo ch’esso ingannavasi. Tu ti sei arrangato dalla parte de’ miei insultatori. Io aveva vagheggiato la felicità con te, e gustata l’aveva per un dì. Poichè oggi tutto si abbuia, io abbandono il posto, cedo la parte, e mi ritiro — perdonandovi tutti.

«Se non lascio nulla dietro a me, neppur dei rimpianti, sii sicuro, amico mio, che io porto meco qualcosa: la sovvenenza di un amore cui la bufera à fulminato, ma cui Dio non à cessato un istante di benedire. Adesso, le apparenze son contro me. Mi lascio dunque schiacciare da esse... e muoio.

«È terribile pertanto morire a vent’anni! Ma, mestieri n’è. Addio. Io non voglio venir manco, intenerirvi... Addio, amico. Che Dio ti accordi l’oblio, perocchè tu ài di già il perdono della donna che ti amò tanto e che t’ama sempre.»

«Regina


— Regina! — rispose costei, lasciando cader la sua penna. Io scoppio, amico mio. O’ voglia di piangere. L’è ben triste la sorte di questa povera fanciulla.