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— Come? — sclamò il dottore — saresti di già stufa?
— Magari, no.
— Ebbene, dunque?
— Ditemi, dottore, posso recarmi a codesto ballo con la stessa toilette che portavo al ballo dell’ambasciata austriaca?
— Mah! ciò ti riguarda.
— Lo so bene.
— Volgi allora codesta dimanda a tuo marito.
— Non è guari pochi dì, e voi pretendevate che il mestiere di uomo di lettere è mestiere di pezzenti.
— E lo pretendo ancora — a qualche eccezione tranne: rara avis! Ma di chi colpa se tu non ài ad indirizzarti ad un uomo di scudi?
— Dottore, non torniamo più su codesto. È un fatto compiuto.
— Allora vieni al ballo con la stessa toilette d’altra volta.
— Le donne si burleranno di me. Direbbero che dormo con essa.
— Allora, resta a casa.
— Mi vi annoio.
— E dire — sclamò il dottore quasi parlasse a sè solo — che con la metà dello ingegno che il marito di costei sciupa in frascherie fantastiche, in combinazioni fittizie, e’ potrebbe, applicandolo a cose reali e serie, navigar sull’oro!
— Applicato a che mo’, se vi piace, amico mio? A delle combinazioni di Borsa? Ad inventare un cappello meno ridicolo per gli uomini? un rimedio contro la malattia delle patate? un’assicurazione contro l’infedeltà dei mariti?
— Che pensi tu di quei piccoli bellimbusti che ti farfallavano intorno al ballo dell’ambasciata?
— Mah! che ve n’ànno dei dannatamente sciocchi e vani.
— E pertanto, ecco lì il vivaio degli uomini che avranno un giorno la fortuna degli Stati di Europa nelle loro mani.
— Compiango l’Europa, allora.
— Tuo marito, al paragone di quei fantocci lì, sarebbe un’aquila.
— Lo credo bene! E’ ne fabbrica e demolisce, di uomini di Stato.