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— Madama, vorreste farmi la grazia di un giro di walzer? chiese egli con voce commossa.

— Volevo riposarmi, signore — rispose Regina — ma a voi non posso rifiutare.

Levossi.

Alberto la prese fra le sue braccia.

Era estremamente pallido; si sentiva quasi svenire sotto il peso di quella donna, cui aveva tanto amata e cui amava ancor tanto! Si lanciarono alla danza.

— Madama — le sussurrò Alberto all’orecchio — non mettete giammai più il piede in questa casa, e diffidate.

— Di grazia, di che?

— Questa casa vi contamina. Voi siete in una gabbia di tigri. Partite all’istante. Non vi tornate più, e silenzio... silenzio assoluto!

Egli condusse Regina al suo posto e partì.

Regina rimase pensierosa. Poco dopo lasciò il ballo anch’ella. Non disse ad alcuno delle parole di Alberto. Però, riferì a suo marito di essere stata a quel ballo.

— Regina — rispose Sergio di un accento profondamente attristato — va pure nel mondo quanto ti aggrada. Frequenta i balli ufficiali e diplomatici, i balli del Faubourg... ma, se vuoi piacermi, fuggi il mondo borghese e quello dei finanzieri, checchè si siano. Io li detesto.

— Perchè dunque, amico mio?

— Li detesto d’istinto. Nelle regioni elevate, la corruzione, la seduzione, il vizio, la belletta non mancano di certo. Però, se tutto codesto disonora, codesto non imbratta. Imperocchè, quella gente sa orpellare il fondo con la forma. Ora, gli è vergognoso confessarlo, ma ciò è; noi viviamo per gli altri, molto; per noi, poco.

— Ài tu qualche cosa a rimproverare alla signora Thibault?

— Ella è una cliente di tuo zio. Ciò basta. Mi astengo parlarne.

— Ti comprendo amico mio. Non avrai più rimprocci a farmi.


Qualche giorno dopo, il dottore invitava Regina ad un ballo dal ministro della marina. Regina esitò.