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— E dove codesto vezzoso corpicino soffre dunque, colomba mia?
— Al cuore, al cervello, all’anima... da per tutto... Io soffoco.
— Poffardio! che magagne! E voi possedete tutto codesto — voi — cuore, cervello, anima! Dite mò; vi avrebbero dessi rubato?
— Se non aveste i vostri laidi capelli fango di Parigi... vi batterai — vel giuro.
— Vedete mo’ l’abitudine! Si calunnia perfino il colore dei miei capelli. Ma via, eccomi qui. Parlate: ch’avete voi?
— Io amo.
— A che tasso?
— Per nulla.
— Non trattasi allora di un agente di cambio o di un banchiere, m’immagino!
— Un artista — no, un poeta, un giornalista.
— Come domine vi siete cacciata voi in codesto brutto roveto?
— Lo so, io? la si è guizzata dentro di soppiatto, a mo’ di ladro.
— Amore innocente, platonico, ideale, eh?
— Passate oltre.
— Amore cognito al mondo?
— Misterioso come una cospirazione.
— Allora?
— Allora, allora... — scoppiò Augusta; ma il miserabile m’à ingannata.
— Requiescat in pace! Ed è così difficile di sostituirlo? La letteratura è in sciopero in questo momento. Le odi non sono scontate alla Borsa. I giornalisti s’inscrivono all’ufficio di collocamento. Non avrete quindi che a scrivere, franco di posta, ai Petites affiches e vi si riporterà il vostro barboncello smarrito, o vi si servirà un rimpiazzante a modo.
— Orsù! cessate, in nome di Dio e del diavolo. O’ bisogno di consigli. O’ bisogno di cure. Soffro.
— Ebbene, in fede mia, debb’essere un bel bellimbusto colui che à fatto il miracolo di dotarvi di un cuore. Che nome date voi a codestui?
— Voi lo conoscete: Sergio di Linsac.