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— E la signora di Balbek consente a codesto?
— Ella lo esige per la prima.
Il principe azzeccò il suo sguardo dritto e profondo sul conte e replicò:
— Ne siete voi ben sicuro, signor conte?
— Signore, io non ò l’abitudine di parlare alla ventura. Ciò posto, venghiamo agli altri documenti.
— Ebbene?
— Io li ò. Io li ò presi, per impedire che la duchessa li prendesse. Conosco il valore di quelle scritte, e l’uso che se ne potrebbe cavare...
— Allora?
— Allora, io li conservo — come se mi fossi un sepolcro!
— Ma non è codesto che era stato convenuto con la duchessa.
— Lo so. Ma altresì, io non agisco d’appo i suoi ordini. Ecco il mio avviso, signore. Il vostro governo è avverso alla regina Bianca, favorevole a quell’abbominevole principe di Tebe — di cui l’elemento vitale è il delitto e l’abbrutimento dei popoli per mezzo del clero e dalle fraterie. Questi documenti, nelle vostre mani, potrebbero servire ad un compito più fatale di quello del duca di Balbek. Egli vuole quattrini; voi volete confiscare la libertà di un popolo. Quegli mira alla lista civile della regina; voi al trono di lei. Un uomo di onore non può dar mano ad alcuna di codeste manovre. Io ò quelle indegne carte. Le conservo, le sotterro — se tuttavia non le brucio.
— Ma, signore, le avete lette voi, quelle scritte?
— Sì.
— Allora, voi vi fate complice di una estorsione, di un adulterio, di una sostituzione, di un furto, di una prostituzione... che so ancora? voi tenete il sacco a coloro che rubano.
— Signore, i due re ed i loro ministri sono stati infami; il duca di Balbek — forse il meno colpevole — è stato infame anche egli. La morale si vela la faccia in mezzo a quella gente. Io non mi preoccupo ove sia la giustizia. Io non calcolo che questo: la regina Bianca è un vituperio; il principe di Tebe un flagello. Il vituperio ricade sur una regina; il flagello si abbatte sur una nazione. Dei due di-