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— Che cosa è codesto modo di favellare? — osservò il duca atterrito.

— Il modo con cui gli uomini di onore parlano alla gente della vostra specie e del vostro calibro. Sì, le conosco tutte le vostre gesta: ciò che è occorso la notte del ballo presso il principe di Lavandall; ciò che è occorso la notte dell’orgia in casa Morella; i vostri debiti; le vostre scroccherie; il furto dei gioielli, che avete commesso in pregiudizio di vostra moglie; l’uso cui vi apprestavate a fare dei documenti che vi ò presi. Mia cugina andava a soccombere alla tentazione di restituir quelle carte contro l’autografo glorioso cui avete scritto presso il principe di Lavandall. Carpirvi quel portafogli sarebbe forse stata una cattiva azione per vostra moglie. Gli era un dovere per me d’impedirle di contaminarsi. Gli è un dovere per me d’impedirvi di aggiungere altra infamia all’onta cui avete di già sparsa sul capo di vostra moglie e del vostro figliuolo.

— E chi vi à delegato codesto doppio dovere, signore? — dimandò il duca.

— Il sangue che mi corre nelle vene. Ma ciò non è tutto ancora. Vi ò dato delle spieghe. Ascoltate adesso i miei ordini.

Balbek trasalì.

— I vostri ordini? — borbottò egli sillabando, le labbra tremanti.

— Cui eseguirete come quelli del vostro re. Vi do, per compierli, un mese — a partire da questo momento, le 3 e 25 minuti del 7 marzo, fino alle 3 a 25 minuti del 7 aprile.

— Vi ascolto — biascicò il duca, più bianco che la sua camicia — e sono soprafatto dallo stupore.

— Io non so che uso farò di quelle carte cui vi tolsi. Al contatto di quell’immondizia: diplomatici, spie e pretendenti a cui vo’ a fregarmi, il sentimento del giusto e del vero si perverte. Io non so se giungerò a strappare dagli artigli del Russo la dichiarazione firmata da voi. Ma l’è questa l’ultima delle mie preoccupazioni. Vostra moglie è vedova, da ieri in qua. Vostro figlio sarà, a partir da domani, non più il duca di Balbek, ma il conte di Meuge. Che il vostro nome resti o no contaminato innanzi