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Il signor di Linsac guardava Adriano di una ciera significativa.
Adriano aveva nel suo giardino un tiro con un bersaglio e dei pupattoli sempre allestiti. Prese dunque la sua scatola a pistole e cominciò la sperienza.
I ventiquattro colpi furono tirati.
Adriano aveva promesso ventidue mouches: ne fece ventiquattro.
L’emozione del duca raddoppiò.
— Ti propongo una rivincita — disse infine Adriano a suo zio. Andremo di questo passo in una sala d’armi. Farò dieci assalti col maestro. Se egli è Grisier, scommetto i cinquecento franchi che mi devi, che lo toccherò cinque volte. Se è con tutt’altro maestro di sala, lo bottonerò sette volte.
— Accetto — disse Sergio. Duca, volete voi tenere la scommessa con me?
— Se sono giudice — rispose costui lentamente — non posso esser parte.
— L’è giusto — sclamò Linsac.
— Ebbene — riprese Adriano — andremo a chiacchierare un istante, il duca ed io, perchè egli à a parlarmi; poi ci recheremo ove vorrai, zio.
— Andiamo al momento — interruppe il duca. Parleremo di poi, con più agio. Il mio coupé è alla porta. D’altronde, non voglio far ritardare il cronometro della politica europea — soggiunse quindi, stendendo la mano al signor Linsac.
Questi s’inchinò.
— Ahimè! mio caro duca — rispose Sergio — io posso aspettare; imperciocchè oggidì non sono più i cronometri che regolano la politica, ma le vecchie pendole.
Mezz’ora dopo erano da Grisier.
Un’ora dopo, la scommessa era stata guadagnata.
Adriano aveva toccato il gran maestro sei volte, e parato a meraviglia.
Adriano lasciò una cedola di 200 franchi sul caminetto del maestro, e, volgendosi a Linsac, gli disse:
— Andrò a prendervi alle cinque, e pranzeremo insieme. Ora, cugino, son tutto vostro. Volete parlare in vettura, andare a casa vostra, o ritornare alla mia?
— Da voi — rispose il duca.