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quelle carte ad ogni costo, perchè li re Taddeo è morto ieri o deve morire oggi. Lo assassinano forse.

— Ma, allora, chi è che vuole quelle carte? che vogliono farne? — gridò il duca in un accesso di terrore.

— Le si vogliono bruciare — in uno alla dichiarazione cui avete firmata. Vi si vuol mettere nell’impossibilità di fare il male. Si vuol salvare l’onore del nome cui porta mio figlio...

— E se rifiuto?

— Che so io! Per togliere ogni credito alle vostre scritte, v’infameranno — depositando al club il documento firmato da voi, dal dottore di Nubo, dal principe di Lavandall e da due signori russi. Lo pubblicheranno nei giornali. Vi schiaffeggeranno. Vi cacceranno di dovunque... Oh! padre mio! perchè siete voi morto! Ma suicidatevi dunque, suicidatevi, infame... non assassinate così vostro figlio!

Il duca rimase per qualche tempo la fronte nelle mani, la testa appoggiata al dorso di una poltrona, senza neppur osar respirare.

Che dramma tempestava nel suo cuore? impossibile sbrogliarlo! Fluttuava nel caos. Passioni e dubbi, risoluzioni estreme e scoraggiamenti, rimorsi ed odii si allacciavano, si contorcevano. Infine, egli uscì lentamente, senza sapere che si facesse, sempre assorto.

Entrò nella sua camera; si diresse verso il mobile ove erano le carte; l’aprì; scostò la tavoletta; fece scattare le molle della toppa secreta; cercò il taccuino violetto; rimestò... ancora; si fregò gli occhi; rimosse tutti gli oggetti; visitò tutti gli spigoli; portò le mani alla sua testa; vacillò... e cadde sopra una sedia.

Poi si rilevò di un salto, e corse alla duchessa — la quale, la testa cacciata fra i cuscini del divano, piangeva.

Il duca la guardò, la contemplò.

Quell’attitudine di annientamento cangiò il diapason della sua voce ed il filo delle sue idee — disperse forse i suoi sospetti. Borbottò dunque di una voce sorda:

— Ma l’ànno rubate!

— Che?

— Quelle carte. E pertanto, una sola persona al mondo conosceva il segreto della toppa: voi, madama!

— Ah! ciò eccede il possibile! — gridò Vitaliana, uscendo