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— Il duca non è rientrato.

— Attenderò, in ogni modo, nella sua camera, ove posso leggere i giornali e fumare.

— Per lo appunto, signore — rispose Maria.

E precedè il conte alla camera da letto del duca.

Tob gli portò i giornali.

Adriano non vide in quella camera che il piccolo mobile cui gli aveva indicato Vitaliana.

Accese un sigaro, aprì il Debats, e, in leggendo e fumando, cominciò a passeggiare.

Si fermava di tratto in tratto per udire i rumori che giungevano fino a lui.

Qualche minuto scorse.

Adriano si accostò allora allo stipetto e ne considerò la toppa esterna. Si cacciò poscia le mani in tasca e ne cavò fuori due o tre mazzi di chiavi, di ogni sorta, cui aveva imprestato dal suo magnano. Ne scelse una e la provò nel buco della toppa.

Il buco era troppo piccolo.

Ne prese un’altra, poi una terza, poi una quarta. La quinta infine girò, ed il coverchio del mobile si aperse.

Il cuore di Adriano battè con violenza.

Ascoltò di nuovo gli strepiti della casa.

Nulla di allarmante!

Scartò allora la tavoletta che copriva il quadrante, e vide le lettere azzurre sullo smalto bianco sorridere alla sua bramosia. Toccò le lettere, componendo il nome di Bianca.

Lo stipetto si aprì, e mostrò il taccuino di velluto violetto.

La mano di Adriano trema. Lo prende. Ascolta ancora. L’apre. Ascolta novellamente... Ecco le carte! Ne spiega una... e gitta un grosso sospiro.

Alla prima parola, indovina che à i documenti tanto desiderati!

Si caccia il taccuino in tasca. Chiude la tavoletta del quadrante. Aggiusta quello che lo nasconde. Chiude il coverchio del mobile... e pallido, pallidissimo, va a ricadere sur un seggiolone, abbrividito, affranto, gli occhi stravolti.

Aveva rubato — e lo sapeva!

Tutta questa scena si era compiuta in tre minuti.