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nito lo schizzo, cui il dottore aveva intravisto a Nicastro. Regina era veramente divenuta, per bellezza, quella macchina infernale cui il dottore aveva presentito.

Il colorito stesso della giovinetta erasi rischiarato. Aveva acquistato quella pallidezza opaca ch’ànno le Italiane quando son pallide, non gialle — quella pallidezza perlata, cangiante sotto le pulsazioni, più o meno vive, del cuore, ed alla marea più o meno calda del sangue: un caleidoscopio di passioni! Poi, Regina sapeva tutto — o piuttosto parlava di tutto; perchè la sua memoria prodigiosa la serviva da sovrana.

Ella ricevè il dottore, innanzi al mondo, con il rispetto e l’affetto di una tenera nipote. Ma, non appena e’ si trovarono soli, Regina si piegò all’orecchio del dottore e gli chiese:

— Orbene, caro zio, voi non mi dimandate dunque mica nuove della gitanella di Nicastro?

— Ella è morta, la piccola furfantella — rispose il dottore intrepidamente.

— Che disgrazia! — sclamò Regina — morta! Pertanto, convenitene, caro zio, quella scimmiuola lì era pur gentile.

— Io ne conosco un’altra che l’è di vantaggio — rimbeccò il dottore baciandola in fronte.

Il dì seguente ei partì...

E tre anni dopo, Regina di Nubo, nipote del dottore Gennaro conte di Nubo, usciva di pensione e veniva a Parigi.

Il dottore la presentò nel mondo l’inverno seguente. Ella aveva diciannove anni.

Ora, quale era lo scopo del dottore, armando con tanto splendore questa trappola, caricando questa torpedine, e sopra tutto procurando con tanta cura di eliminar dal soggetto qualunque cosa potesse esservi di urtante e d’inverosimile? Ove mirava desso? Che voleva? Tendeva egli un laccio? Si dava egli un complice? Lavorava ad un’opera buona? Si associava un aiuto? Si preparava egli le gioie della famiglia — e’ ch’era solo, i due piedi volti alla vecchiezza? Ordiva egli disegni infami su quella pura creatura?