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st’avvenimento all’imperatore — il palazzo del di cui ministro è stato vituperato — e che debbo aspettare gli ordini da Pietroburgo.

— Vi sarebbe egli permesso di presentire quegli ordini, signor principe?

— No, madama. Però, io non oserei incoraggiarvi ad alcuna speranza.

— Se mio padre vivesse, se io mi avessi un fratello, signore, non avrei bisogno di supplicarvi. Essi saprebbero il loro dovere: essi ucciderebbero il padre per non infamare il figliuolo! Io sono sola nel mondo; sono vedova, signor principe... Grazia, grazia pel mio figliuolo! bruciate quella carta.

— Impossibile, madama. Voi dimandate il mio onore, la mia sentenza, la posizione della mia famiglia, per salvar l’onore di un... di vostro marito, madama — il quale non comprenderebbe forse neppure la magnitudine del sacrifizio che io farei.

— Voi avete ragione — rispose Vitaliana dopo qualche istante di zittire. Un’ultima parola, allora. Principe, credete voi al pentimento?

— Io non lo nego.

— Credete voi che il duca di Balbek possa riabilitarsi unque mai di un atto, che fu senza dubbio un accesso di follia?

— Un accesso di follia! — mormorò il principe.

— Voi non ammettete la follia. Voi credete alla premeditazione. Siete voi dunque convinto che quell’anima è perduta?

— Madama...

— Principe, vi dimando il vostro parere, non mica la vostra pietà. Se mia madre fosse qui, ella mi consiglierebbe forse. Scriverle? non si confidano di codeste cose alla carta, la quale, presto o tardi, tradisce sempre. Io medito un piano di condotta, una determinazione... che so io? E sono sola!... Siate mio padre.

Il principe di Lavandall ebbe l’aria di riflettere. La risposta? no. Egli considerava che Vitaliana invocava una scusa, invocava le circostanze attenuanti, se non per assolvere suo marito, per attenuarne almeno il delitto. Ella andava quindi a sfuggirgli di mano. Ei non poteva allora