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Tutto quivi respirava la felicità. Tutto pareva dire alla fata di quel nido di angelo: Godi! Dio ti sorride!

Stesa sopra una dormeuse, la lettera di sua madre sul seno, la noccolina di capelli sulle labbra, Vitaliana aveva gli occhi a tutto... e non nulla scorgeva! Ella si sentiva penetrata di un sentimento vago, composto di tutti i dolori e di tutti i terrori cui aveva traversato da dodici ore in qua, e di quella calma catalettica che infonde la disperazione.

Il principe entrò.

Ella si sollevò.

Il signor di Lavandall le baciò le punte delle dita e si tacque.

La si sarebbe detta una visita di condoglianza.

— Signore — sclamò infine Vitaliana, voi venite ad annunziarmi che il disastro è completo?

— Dio mi è testimone, madama — balbettò il principe commosso, o sceneggiando la commozione — che, a prezzo della mia vita, io vorrei sparmiarvi quello orribile dolore.

Nel tempo stesso, egli presentava a Vitaliana la dichiarazione di suo marito e dei testimoni.

Vitaliana la lesse, gli occhi enormemente dilatati e fissi. Poi, la carta le cadde dalle mani, e, malgrado lei, malgrado tutto, dei singhiozzi le lacerarono il petto.

Il principe si ripostò la scritta in tasca, e prese le mani di Vitaliana fra le sue, senza soggiunger verbo.

La procella durò cinque minuti; poi si appaciò di un tratto, come le bufere dei Tropici.

Allora, Vitaliana, divenendo estremamente calma, riprese:

— Signore, vengo dal ricevere una lettera di mia madre; ecco i capelli del mio figliuolo. Essi sono felici. Signor di Lavandall, siete voi padre?

Il principe comprese il significato di quell’appello e rispose:

— Signora, sì. Ma, per sventura, io non sono mica solamente padre, e vostro marito non è mica un gentiluomo ordinario. Egli è qui ambasciatore di un re, ed io rappresento un imperatore. Gli è dirvi, madama, che io non sono punto libero delle mie azioni; che io debbo riferire que-