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Il duca di Balbek, lui, era orribilmente pallido e sembrava annientato, come uomo che marcia al patibolo.

La sua ora era suonata. Egli l’aveva udita suonare come i rintocchi di funerale.


XII.

Il colpo di grazia.

Le feste del principe di Lavandall erano le più ricercate di Parigi, a causa della scelta squisita dei suoi invitati, la ricchezza e sopratutto l’eleganza che vi regnavano. I balli delle Tuileries erano deserti, se coincidevano con quelli del principe. L’aristocrazia del Faubourg, che non andava dal re, si pigiava nei saloni del diplomatico russo. Se si parlava di una bella dama, questa quistione inevitabile era posta:

— È dessa una delle fate dell’hôtel di Lavandall?

Un artista, un autore, che vi era invitato, mostrava la lettera del principe come un poeta mostra una lettera di Victor Hugo. Era un diploma che dava delle ali. Essere stato al ballo del principe, costituiva una patente di nobiltà. Si era sicuri incontrare in quel salone tutto quanto Parigi possedeva di legittimamente illustre. Si contavano le intrusioni come una verruca sul viso di una ballerina.

Questa spia di grande nobiltà ecclissava il re!

Quando Vitaliana vi giunse, le sale ridondavano di gente.

Il principe le andò incontro e le offerse il braccio per condurla nel salone principale.

Il dottore di Nubo era probabilmente all’agguato del duca di Balbek, perchè, vedendolo, lo seguì lentamente fino a che non l’ebbe ridotto nel vano di un balcone.

E’ gli disse un motto in italiano.

Il duca rispose con un segno di testa e sguizzò in mezzo