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Balbek divenne eccessivamente pallido, gualcì convulsivamente la lettera. Nel tempo stesso, le sue unghie allividivano i polsi della sua amante.

— Che ài tu risposto? — dimandò egli infine, tremando di tutta la persona, lasciandosi andare, malgrado suo, sur un seggiolo e tirando a sè Morella, che cadde a ginocchio.

— Non ò risposto ancora — ella balbutì.

— Che risponderai tu? — riprese il duca di una voce che somigliava ad un singhiozzo.

Morella, forte commossa, esitò. Non sapeva se dovesse gittarsi al collo di quel meschino, confessargli tutto, abbracciarlo, ovvero se dovesse dargli il colpo di grazia.

Il duca ebbe la dappocaggine di ripetere la domanda non un accento di collera.

Allora Morella sillabò lentamente:

— Risponderò che accetto.

Il duca si alzò, rilevando Morella ancora ai suoi piedi, e gettolla sul seggiolone. E’ passeggiò in silenzio per qualche minuto nella camera, infine sclamò, come parlando a sè stesso:

— Al postutto, perchè non accetterebbe dessa? Un rifiuto, darebbe a supporre un cuore; e costei non è che un baratro. A che titolo potrei io pretendere d’imporle una simile perdita? Perchè io l’amo? Io la amo per me: dunque l’è un balzello per lei: dunque occorre un’indennità; dunque...

— Che vi piaccia di ferneticare, io non posso impedirlo — osservò Morella. Ma che mi insultiate così... voi non avete, io non ve ne dò il diritto.

— Morella, una grazia — mormorò il duca fermandosi innanzi a lei.

— Voi siete assurdo.

— Ti domando una settimana di respiro.

— Per che fare?

— Fra quattro giorni vi sarà ballo dal principe di Lavandall. È venuto di persona a pregare la duchessa di assistervi. Ella vuole andarvi. Credi tu che io non debba almanco questo a quella povera abbandonata? Ò bisogno di esser tranquillo per questi quattro giorni. Ò le mie ragioni per questo. Dopo, tu deciderai del mio destino — forse del mio onore e della mia vita.