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— Qui... no. Io non sono mica un’adultera! Tutto quanto tu vedi in casa mia appartiene ad un altro. Metteresti tu una livrea cui io ò gittata ai cenci vecchi?

— Un altro? — domandò Balbek, aggrottando le sopracciglia. Chi dunque?

— Signor duca, — rispose Morella, sedendo, — sappiatevelo, fin dal bel prima. In casa mia, due cose sono incognite: il passato ed il padrone. Non vi volgete indietro per cercar dei fantasimi, liquefatti, fusi nello spazio. Guardate innanzi a voi, procurate di ricamare un avvenire per quanto potrete più luminoso, ed obbedite. D’altronde, se io vi fo la parte che taglio a me stessa; se v’incateno al mio proprio destino — che sia un trono di astri o un desinare di arsenico — di che vi lamentate voi dunque?

— Di che?

— Sì: di che? Voi venite. Io non vi chiamo, per Dio! Ma bandite le nuvole dalla vostra fronte: voi entrate in un cuore nuovo. Gli uomini che lascian ruine sono pochi; che devastano, son rari.... Ed io non ne ò quasi conosciuto. Tutto al più, se ne intraveggo uno dopo il ballo dei giorni scorsi.

Il duca, comprendendo l’allusione, uscì precipitosamente.

Egli era di già preso nell’addentellato, e portava via la freccia nella ferita.

Morella respirò e ricadde sul canapè come affranta di fatica. La sua parte eccedeva. Poco dopo, ella si assise ad una tavola, e scrisse a M. di Linsac:


«Cher ami, lo tengo. Che volete che ne faccia? Un misero? lo è di già. Un disgraziato? gli è impossibile — poichè debbo lasciargli pigliare l’amore di cui paga il prezzo. Egli è sciocco, ma giovane, bello e confidente.

«Fate attenzione!

«Ciò potrebbe disarmarmi — ed avendo cominciato dal giocare le vostre carte, potrei finire per giocare le mie.

«Gli è dunque indispensabile che io sappia dove andiamo, non fosse che per accorciare la via. Ove volete voi arrivare? Condurlo all’inferno per la strada del paradiso — ciò che io dovrei fare — mi sembra una ispirazione di troppo degni briganti. Voi non potete voler codesto. Che volete voi dunque? Che debbo io fare?