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Lo si trovava un po’ stecchito. Ma ciò proveniva dalla ritenuta cui s’imponeva — per tenersi dritto e rompere così l’abitudine, contratta al seminario, di portare la testa in giù. La sua voce era melodiosa come quella di Vitaliana. Il suo sorriso, quando era vero — perchè abusava del riso sarcastico — irraggiava come quello della cugina. Era alto ed elegantissimo, ma senza affettazione.

Una viva commozione si pinse sul suo sembiante quando vide Vitaliana impiedi, sulla soglia del balcone che si apriva nella stufa.

La cugina aveva arrossito udendo il nomo di lui; il cugino impallidì alla di lei vista. Alcuno dei due non favellò. Si contemplarono reciprocamente: Adriano, con fascino; Vitaliana, con stupore.

Per uscir d’imbarazzo, e nascondere il suo turbamento, questa sclamò di un accento gioioso:

— Ebbene, signore abate, vi siete dunque fermato a mezza via del vostro vescovato? Che disgrazia! promettevate un così santo vescovo! Il nostro caro zio, il cardinale, ne sarebbe immagrito di un quarto di tonnellata per gelosia.

— Può smagrire di una tonnellata tutta intera, senza nulla perdere nella considerazione della cristianità! — rise Adriano. Ma veggo con contento che tu sei gaia... perdono, che madama la duchessa è gaia. Io mi aspettavo a tutt’altro.

— Ah! voi venite dunque per vedermi piangere!

— No: per consolarvi.

— Consolarmi di che? della perdita della battaglia di Waterloo?

— Tu sei dunque felice, Vitaliana? — riprese Adriano dopo un istante di silenzio, ed offrendole il braccio per passeggiarla nella stufa.

— Ma chi à potuto ispirarti l’idea che io nol fossi? L’avresti tu letto nella Gazette de France — che mi manda, dicono, ogni domenica, alla messa di S. Tommaso d’Aquino, dove io non ò mai messo il piede? Tu non rispondi?

— Non una nuvola in casa tua, dunque? tuo marito ti ama...?

— To’! tu mi rammenti che sono quasi otto giorni che non l’ò visto. Quel povero Carlo è così occupato! Nego-