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aspetto. Ah! ecco lì l’Inglese. Bisogna che io lo bisticci un tantino.

— In inglese?

— E poi? Vedete! gli è adesso un’ora dopo la mezzanotte. Ad un’ora e venticinque minuti, prima che io me ne vada, il mio inglese parlerà francese come Victor Hugo. Quell’uomo mi garba.

— A causa del suo mantello?

— E perchè no? Non à quel suo mantello chi vuole, signor duca. Ma la sua bruttezza mi fascina. Eh sì! la bellezza? ne ò pieni gli occhi: l’è tutto specchi in casa mia! La mediocrità? pouah! Il mio proprietario à domandato di sposarmi, presentandomi il suo ultimo ricevo del fitto. Fare dei figliuoli e rosicchiare 30,000 franchi l’anno con lui, per quarant’anni! Piuttosto la Senna! Se il volgare mi avesse sedotto, signore, sarei restata a confezionar cappellini ad Arles.

— Ah! voi siete di Arles?

— La donna non è di alcun paese. Ella è bella o brutta — del cielo o dell’inferno. Allora, fra otto giorni, tutta Parigi conoscerà il mio Inglese. Che se ne vada; ognuno sclamerà: guarda! l’inglese è partito dunque? Che noi ce ne andassimo, alcuno non se ne accorgerà.

Il dottor Nubo entrò allora nel salone e venne a salutare il duca. Egli squadrò fisamente Morella e disse:

— Che tigre reale! Gli è per questo che io sentiva l’odore di carne fresca. Attento a voi, caro duca.

— Io non sono una scienziata in storia naturale — rimbeccò Morella, con un sorriso grazioso, ma che aveva gli artigli di acciaio. Vedendovi, però, signore, io m’immagino contemplare uno di quei vecchi vasi di Faenza degli speziali di una volta — quei vasi il di cui smalto abbarbagliava, i di cui geroglifici intrigavano, e che contenevano delle droghe velenose, talvolta della vipere.

— Benissimo, benissimo, piccina. Tu ài la stoffa per divenire una duchessa.

— Voi siete terribile, madamigella — osservò Balbek. Vi si punge e voi ferite a morte.

— Oh! si à dunque la vita così tenera qui?

— Addio, madamigella. Io non oso neppure pregarvi di cessare la guerra contro un vinto.