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mio per te, se riesci. Noi ti lanciamo su di lui come Dio sguinzagliò Satana sopra Giobbe.

— E poi?

— Poi... io non ne so mica più di te.

— Che fortuna può egli avere?

— Oh! e’ non è ricco. Se tu gli estrarrai cinquecento mila franchi in oro dal cuore, e’ sarà lì per depositare le armi.

— Non tregua?

— Neppur di un secondo. Tu sei una macchina che lo à preso nel suo addentellato, e da cui Dio stesso non lo potria più distrigare. Pompa, pompa, pompa sempre.

— E quando sarà tapino come un tapino irlandese?

— Ti comunicherò gli ordini che mi si impartiranno. Ricordati solo, che tu non sei mica una volontà, ma una fatalità.

— Che parte debbo io assumere?

— Osserva le manie dell’uomo, e decidi. Ma non mi sembra avere colui dei gusti che olezzino l’ideale. Tu sarai baccante. E ciò lo trasporterà.

— Riserbo ciò per colpo di grazia, quando vedrò il sangue schiumar sulle sue labbra. Andiam per gradi. L’è detto. Ecco tutto. Le undici e mezzo. Me ne vado.

— Non importa! io ò dei rimorsi. Io so che in queste trame sataniche i pesci cani si aprono sempre una via e che l’è sempre la povera mosca — la donna! che soccombe. Dio ti sia in aiuto, Morella. Io ti amo.

— Va a metter ciò in versi: l’è grazioso. Ma non esser inquieto per me, no: io sono di acciaio — mi si può torcere, ma non spezzare.

— Io mi sovvengo di un’altra vittima. Addio.


Il ballo di madama Thibault si componeva di due categorie di persone: gli attori e gli spettatori.

Gli attori erano una ventina di giovani dei due sessi, cui alcuno non conosceva ed alcuno non curava conoscere — i ballerini. Le damigelle erano state scelte di una bruttezza sufficiente per non far macchia e servire di rilievo alle vere bellezze.

Questo coro della festa era vestito di bianco, senza gioielli, con qualche fiore nei capelli, ed ecco tutto.