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— È il duca di Balbek.

— Lo conosco... e l’odio.

— Come ciò?

— Un quindici giorni fa, io era sola — sola in un palco agl’Italiani. Quasi rimpetto a me, quel duca aveva passato la sera con una giovane e bella fanciulla — che debbe essere probabilmente sua moglie. Egli mi aveva sbirciato tutto quel tempo, quantunque io torcessi sempre il capo con dispetto. Scendendo la scala, per azzardo, mi trovai innanzi a loro. La giovane mise il piede sulla mia veste. Io mi volsi. Ella mi disse graziosamente: Mille scuse, signora! Allora quel facchino di duca le mormorò all’orecchio — ma non sì basso che io non l’udissi: Non tanta cortesia con quelle creature! La giovane indietreggiò, quasi si avesse toccato un colubro. Io li squadrai entrambi con insolenza, e dimandai al vicino: Chi conosce qui questo pezzo di tanghero?

— Zitto! fe’ qualcuno: gli è il duca di Balbek, ambasciadore di un re non so dove! Essi erano passati; ma avevano dovuto udire il mio motto.

— Questo precedente è spiacevole.

— Dite, propizio. Allora?

— Ebbene, figlietta mia, vendicati in questo caso. Te lo abbandoniamo, corpo ed anima. Impadronisciti di lui, fatti amare, e... divoralo!

— Egli sarà dunque al ballo?

— Si dà il ballo per farvi incontrare. Il principe di Lavandall ti farà la corte per isvegliare l’emulazione di quello sciocco. Tu farai trionfare il duca sul principe.

— Ed in seguito?

— In seguito, tu sarai riserbata, ma non respingerai le proposizioni.

— Le farà desso codeste proposizioni?

— Il tuo specchio non ti dice dunque ch’ei non sarà mica il solo a fartene? Però, egli deve essere l’eletto — vedessi tu ai tuoi piedi il duca di Orléans od il barone di Rothschild.

— Sta bene. Quale è poi la mia missione?

— Amor mio, tu sei un graffio che noi gettiamo su quell’uomo. Noi non abbiamo che uno scopo: ridurlo alla miseria. I mezzi ti riguardano. Dugento mila franchi di pre-