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ciò che sono. Io ti debbo tutto: gusto, parlantina, ambizione, istruzione, scienza della bellezza, aspirazione, poesia, conoscenza del mondo. Io era forse una perla; tu ne ài fatto un gioiello, un monile. Io resto tua amica, tua obbligata. Lasciami adesso collocare a modo mio il capitale che Dio mi à dato: la bellezza e l’amore! ed il capitale che tu vi ài aggiunto: l’arte! Io conosco il valore di ciò che posseggo, ora.
— Non far dell’usura, almeno.
— Tu dici codesto, tu? Come! Si danno 2000 franchi ogni sera alla Grisi, per una cabaletta, senza menar scalpori, e si trova enorme se io domando la metà di quel prezzo? Ma cosa è dunque un gorgheggio in paragone di un bacio di queste labbra, vedi! di queste labbra, il cui soffio è come la parola di Gesù a Lazzaro: vivi! In verità, gli uomini sono idioti!
— Morella — osservò Sergio, dopo un momento di riflessivo silenzio — io sono felice della scelta che ò fatto e dell’ispirazione che ò avuta. Tu mi farai onore; ed io non dubito del successo. Terrai il tuo posto con bravura. Io ti rimpiangerò sempre, ma meno se sei fortunata.
— Parliamo d’affari allora, e formola le istruzioni che vieni a darmi. Tu ài detto che io entrava nella carriera della diplomazia?
— Vi sei di già.
— Che io era al servizio di un’Altezza, da cui il sotto ambasciadore di Russia teneva il suo mandato?
— Te lo confermo.
— Che io doveva ammaliare un bel giovane?
— Egli è anzi troppo bello — ed io ò paura che tu ne diventi amorosa e che ci tradisca.
— Decisamente, tu ài una cattiva opinione di me. Rassicurati, allora: io amo di già. Non se ne amano due alla volta.
— Tu l’ami dunque davvero?
— Al punto, che io non mi lamenterei degli stivaletti rotti per andarlo a vedere.
— Lo compiango: tu ne farai un idiota.
— Ciò mi riguarda. Io pretendo farne un angelo del paradiso. Ma dimmi il nome della vittima che gittate nei miei artigli.