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— Giammai demonio non prese meglio le penne di cherubino.

— Lasciami in pace con le tue inezie di demoni e di cherubini. Sono io bella?

— Ahimè!

— L’insieme è armonioso!

— Irresistibile.

— Se indicassi l’ombra appena di un neo, qui, in giù della guancia... per fare osservare come essa si arrotonda soavemente sulla mascella inferiore?

— Non aggiungere nulla di nulla. Vattene, Luisa. L’è finita. L’è perfetta. Dio sarebbe geloso, o innamorato, dell’opera sua — se fosse la sua!

— Insomma? — chiese Morella, quando la cameriera fu uscita.

— Morella, io non tenterò più di piegarti.

— E fai bene. Ti dicono, pertanto, uomo di spirito! Scrivi dei libri che pretendono rivelare il cuore umano! Esci dunque dall’assurdo. Io non ò che diciannove anni. Non ò, per conseguenza, che undici anni innanzi a me, per occuparmi di altro che di amore. Ritorna quando avrò trent’anni. Vedremo allora. Ma inocularmi adesso quella melanconia! grazie: la sbiada il colorito.

— Tu menti in questo momento. Io so, e ciò ti basti, che tu ami altrove.

— In ogni modo, ciò sarebbe per conto mio proprio. Ma non ritorniamo su queste tristezze. Puoi tu spendere dugento mila franchi l’anno per me? No. Vattene allora! Tutto è detto. Io ammagrisco al regime di 2000 franchi al mese. Tu mi ài fatto un ospizio, con codesto, e non un altare. Ora, la natura non mi à regalati questi occhi qui, questa bocca, questa testa, questo collo, questo seno, questa vita, tutto questo splendore, in una parola, per metterlo milensamente a codesta pietanza da invalido. Io non intendo che due cose: o degli stivaletti squarciati trascinati nel fango, o una costellazione. Gli stivaletti squarciati sono una sventura; un terzo piano nella strada Blanche è una dappocaggine. Parliamo dunque d’altro.

— Allora, l’è un addio per sempre?

— T’inganni, Sergio. Io non dimenticherò giammai che tu mi prendesti piccola contadina d’Arles, e che mi ài fatta