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Il duca di Balbek dimandò alla contessa l’onore di presentarsi a lei.

Due mesi dopo, Vitaliana era duchessa di Balbek.


Ella entrava nella vita con un’immagine negli occhi; un rêve nel cuore; un sentimento profondo del suo dovere; una stima che lambiva l’idolatria per la persona, pel carattere, per la dignità, per la virtù di suo marito. Ella non lo amava, ma lo venerava.

Egli la desiderava più che qualunque altra cosa.

A capo di un anno, ella fu madre.

Ella era madre a diciotto anni. Ma niuna vergine aveva più di serenità nello sguardo, più freschezza nelle labbra. La sua innocenza in tutte le emanazioni dell’anima, il suo pudore in tutto il portamento della persona, facevano di lei una madonna.

Ecco la sua aureola, ed ecco il suo torto.

Si sarebbe dimandato, malgrado ciò, se ella era felice o noncurante; se era insensibile o ipocrita. Imperciocchè, in generale, quelle quietudini profonde sono raramente sincere, se non ànno l’idiotismo per base.

Un giorno suo marito le dimandò, folleggiando con i capelli di lei:

- Vitaliana, che diresti se ti raccontassero, per esempio... che io ò... perdonami la parola... una ganza?

- Non so troppo - rispose la giovane. Ma io credo che sarei affatto sorpresa che tu non ne avessi che una.

- Come sorpresa? - sclamò il duca. Tu non mi ami dunque? Tu non sei mica gelosa?

- Io ò sempre pensato, amico mio, che la gelosia fosse una rivolta di amor proprio, anzichè un’esplosione di amore. Otello era un negro egoista.

Un altro giorno il duca le disse:

- Tu ti devi annoiare sovente di codesta vita un po’ solitaria, a cui la mia posizione nel mondo ed il ritiro di tua madre col figliuolo alla campagna ti condannano.

- Tu sai che il tuo mondo non mi seduce enormemente - rispose Vitaliana - e che i saloni mi attirano mediocrissimamente. Io non ò spirito quanto occorre per regnare. E, d’altronde, sono restata, in fondo in fondo, la pensionaria del Sacré-Cœur.