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aveva appassiti, sia nei suoi capelli, sia nel suo busto; d’impossessarsi di quanto Vitaliana avesse toccato; di bere di nascosto nel bicchiere di lei; di raccogliere le briciole di fettuccia, gli stracci, i fogli di carta scritti, tutto ciò che Vitaliana aveva sfiorato e che svolazzava sotto la finestra della camera da letto di lei — spiando perfino il capello cui la brezza le involava quand’ella si pettinava.

Poi, egli faceva sul piano dei prodigi, per ricordarsi, per inventare, se occorreva, per suonare tale aria, tale sinfonia, tal duetto cui Vitaliana preferiva. Se la sua mano, se il suo piede toccavano la veste stessa di sua cugina, Adriano allibiva, aveva i brividi. Egli smagriva, scoloriva. Non dormiva più la notte. Mangiava appena. Insomma, era proprio tempo che il mese di novembre arrivasse e mettesse termine alle vacanze.

Quando i due cugini si abbracciarono per dirsi addio — Addio! disse Adriano, mentre Vitaliana diceva: All’anno venturo! — Quando le labbra di Adriano toccarono le guance di Vitaliana, questa si sentì scorrere lungo la spina dorsale un fluido incognito, il quale le rivelò che ella era donna, e dette una forma ai sogni nebulosi che agitavano talvolta le sue notti.

Adriano le aveva inoculato quella scintilla negli occhi, quel languore nella parola, quel formicolare nelle labbra, quella elettricità divina del bacio, quell’irradiamento della respirazione, quel flusso e riflusso del sangue luccicante di pagliette di oro, quel brivido inebbriante, quel delirio stellato che chiamasi amore, voluttà — e che Dante riassume in una parola: indiare!

Poi non si rividero più. E forse in quel cuore, ove aveva regnato Adriano, restò una ferita, ed in quello, ove aveva regnato Vitaliana, una cicatrice.

L’inverno giunse.

I balli cominciarono.

Vitaliana rientrò nel mondo al primo ballo delle Tuileries.

L’effetto che vi produsse fu immenso. Ella ecclissò tutto ciò che l’Inghilterra, la Polonia, la Francia avevano riunito di quei fiori di stufa, il cui splendore appanna le stelle.

Questa volta non furono più i giovanotti che ronzarono