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una donna: Io t’amo! sia più poeta di messer Dante e di lord Byron, e meriti questa ricompensa. Del resto, ogni poesia non è che un ribiascico di questa strofa divina.

— L’avete voi mai cantata codesta strofa, duca!

— Io non l’aveva cantata ancora.

La principessa si alzò di un lancio e risalì a cavallo, appoggiandosi appena al braccio del duca.

Ella tirò un colpo di fucile e partì al galoppo.

Arrivata al crocicchio, Bianca tirò un altro colpo ed ordinò a Balbek di fare altrettanto. Poco dopo uno dei bracchieri comparve all’estremità di un viale.

La principessa entrò in un sentiero, al passo, ed il bracchiere la raggiunse.

Si seguì quella via.

Il silenzio era completo.

Bianca sembrava offesa; il duca affranto. E camminava dietro, apostrofando il suo cavallo.

Quella parte della foresta era scura e bassa. Delle roccie bianche, seminate qua e là, le davano l’aria di un carnaio di giganti, che avrebbero lasciato quivi delle ossa senza espressione. Il suolo era dell’ocra rossa. Dei serpenti solcavano le sabbie del sentiero. Delle gazzere davan la berta ai cavalieri e cominciavano una chiacchierata poco animata con uno stuolo di cornacchie in sentinella all’apice di un masso. Un pugno di piche si cacciò nella partita ed ingarbugliò la conversazione.

— Mastro Alain Chartier in prosa, capite voi ciò che quelli amabili piumiferi ci vogliono dire?

— Altezza, io m’immagino che quelle bestie irriverenti si burlino un poco del prossimo.

— Davvero! E che dicon esse dunque?

— Semplicemente questo: Oh! come il duca è brutto! oh! come la principessa è sirena!

— E voi non mandate loro una carica di piombo?

— Magari no! Quelle spiritose bestie ànno ragione.

Si volse a sinistra, ed un quadro maraviglioso si presentò ai loro sguardi.

Il viale metteva capo al lembo di un burrone. Di fronte, si rizzava altissimo uno scoglio rossastro a foggia di mitra, sormontato da un picco, come il corno dei dogi di Venezia. Un torrente scendeva ad infrangersi contro quel corno, e