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Ed il duca correva, e le cacciava poi dentro al busto il grappolo del fiore colto.

— To’! quel filo di ruscelletto mi dà sete.

Ed il duca le prestava la sua spalla per saltar di cavallo. Ed ella toglieva i guanti, si stendeva lunga lunga alla ripa del rivolo, attingeva l’acqua nel cavo delle sue palme, beveva, si refrigerava il sembiante e...

— Bravo! ò perduto la mia pezzuola. Prestatemi la vostra, duca.

E poi a galoppare di nuovo. E dei motti interrotti: e degli impallidimenti subiti; e dei brividi indiscreti ad un tatto accidentale; ed un respirare oppresso e bruciante, quando si era di troppo vicini; e dei languori traditori, delle risposte vaghe, degli sguardi petulanti, delle reticenze eloquenti!!!

Una settimana sorvolò così.

Quanto cammino compiuto, ma quanta distanza ancora!

Non pertanto, il vaso si empiva, l’acqua saliva sempre e sempre, ad ogni passeggiata, ad ogni costa, in tutti gli angiporti della foresta ove si scambiava una occhiata, una parola. L’acqua saliva e saliva — ma gocciola a gocciola.

Una gocciola ancora!

Tuttavia, non mai un motto galante, non mai un’allusione. La parola sarebbe stato un delitto di lesa maestà, poichè la situazione era sì augusta.

L’amore non è parlamentare.

Gli antenati di S. M. Claudio III erano stati cacciatori.

La loro capitale era circondata di residenze di caccia l’una più bella dell’altra. Ve n’era una dozzina, tutte ricche di cacciagioni, pittoresche, confortevoli, deliziose. Era la sola cosa che fosse reale nella dinastia e nel regno!

Oltre quelle foreste, quei parchi, quei palazzi di caccia vicino alla città, ve n’erano poi altri più lontani, altri al centro stesso della contrada. Vi si facevano dei viaggi, e vi si restava delle settimane.


Un mattino, la principessa Bianca fu presa da un desiderio imprevisto di andare a cacciare i piccioni in quella bella residenza di Lacerta, che è la Versailles di re Claudio.