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Il duca di Balbek l’accompagnava sempre.

Ed io mi penso che l’uomo cominciava a soppiantare il funzionario.

Gli staffieri ed i bracchieri, che li seguivano in distanza, li smarrivano talvolta nel laberinto dei folti e nei sentieri della foresta, cui gli stessi guardacaccia visitavano di raro.

La coppia fortunata cominciava per un galoppo vertiginoso, e quando si trovava immersa, sola, nella solitudine discreta, nei siti ove la natura libera si lasciava andare alla sua deboscia di creazione, rallentava il passo e scambiava qualche proposito.

La parola era misurata: lo sguardo indiscreto.

Poi, tutto di un tratto, Bianca partiva come un lampo, o faceva inalberare il suo cavallo sul suo compagno, e rideva; o si lanciava nelle terre paludose per inzaccherare il suo cavaliere — il quale si spaventava se la vedeva affondare.

E quanti accidenti in quelle scappatucce!

Ieri, l’era l’amazzone — che, appiccata ad un arbusto, aveva scoverto una gamba ammirabile! Oggi, l’è una bigonia che la spettina e le scioglie le trecce, cui bisogna dar opera a rannodare. Talvolta, era una robinia che le strappava la frusta dei suoi artigli rosati. Tal’altra, una betula che le solcava il viso, e bisognava rinfrescarlo con una pezzuola intrisa nell’acqua.

— Che punto di vista magnifico. Voi non lo ammirate, voi?

— Altezza, io trovo che la natura è sciocca in tutte le sue manifestazioni, eccetto...

— Eccetto?

— La donna.

— Voglio arrampicarmi su quelle roccie, ove potrò trovare un nido di sparviero. Aiutatemi a smontare.

Ed il duca la riceveva sul suo petto.

— Aiutatemi adesso a rimontare a cavallo.

Ed il duca la prendeva nelle sue braccia, adagiava il di lei piede nella staffa, aggiustava, o disordinava l’amazzone.

— Oh! come quella glycina bleu è bella ed olezza bene! Andate a cogliermela.