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— Altezza, io non mi incatarro che al lume dei doppieri.

— In questo caso non vi accimorrerete mai al mio seguito. Voi non andate dunque mai al ballo, voi? mai allo spettacolo?

— Ò bisogno di ben foderarmi di flanelle, se par avventura sono obbligato di andarvi.

Rivennero su i loro passi e traversarono i cedui.

Era la fine di maggio. La natura fremeva ancora del suo immenso andare in amore — ciò che si armonizzava completamente con l’espressione di aspettativa appassionata cui la giovane coppia portava negli sguardi.

Camminavano adesso fianco a fianco, a passo lento, in silenzio. E’ cercavano forse un finale spontaneo, che perdesse quell’impronta per ordine, cui l’una aveva compreso nelle parole di suo padre, l’altro in quelle di suo zio. Il corpo era stanco della corsa sfrenata; l’anima dominava. All’agitazione tumultuosa succedeva il meditare ondulante. Galleggiavano nel vago.

La natura cantava sotto gli abbracciari del sole che divenivano più incalzanti. La cervia, sbalordita dal rumore cui la caccia spandeva lontano, si ritirava nei suoi folti appartati. Il caprioletto saltellava intorno ai cavalli. Il daino bramiva.

La caccia del giorno era ai lepri, ai conigli, agli uccelli, di cui si compiè un’abbattagione.

La volpe, cauta e curiosa, si teneva in distanza, l’occhio al fucile che pendeva dall’arcione di Bianca ed alla carabina che riposava sulla coscia del duca. Su i picchi delle roccie lontane, il lupo, assiso sulle sue lacche, faceva sentinella, inquieto ma grave, portando le sue orecchie puntute verso tutte le direzioni delle brezze che stuzzicavano l’aere sonnolento. Nel profondo dei boschi si udiva il grugnare sordo del quarteruolo e del vecchio solitario, che meditavano un’irruzione subdola, ma non osavano rischiarla.

Che gaiezza poi nei rami! Che cinguettìo, che garrito, che gorgheggi, che saltellare, che strepito di ali, che beccheggiare, che lascivia! Che negghianza negli uni, che inquietudini per la casa negli altri! Che spanto di pietre preziose negli occhi, nelle ali, nelle goliere, nei ciuffetti, nei pennacchi! Quei fiori dell’aria si abbandonavano ad