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vere niellata in argento, nè il Mar Jonio dai flotti verdastri; nè il Tirreno arrovellato dai suoi cavalloni turchini; nè l’Etna che ondeggia in distanza in un’aureola di vapori violetti; nè quel cielo allo spazio infinito, che con la sua profonda limpidezza sembra raddoppiare la potenza della vista. No: e’ non vedeva nulla di tutto codesto, nè altra cosa. Un’idea aveva traversato la mente del dottore di Nubo come un lampo nel fitto della notte.

— E s’io m’impossessassi di questa potenza? — brontolò egli alla fine.

E dette ordine alla guida di tornare immantinente a Nicastro.

I psicologi àn tanto scritto sull’origine, la nascita, la cristallizzazione del pensiero, che non se ne sa assolutamente più nulla. Laonde, io m’astengo netto dall’intraprendere un’investigazione metafisica su questo subietto — ne fosse pur questo il momento.

L’intuizione subìta dall’avvenire poteva ben essere nello spirito del dottore la conclusione di un seguito di ragionamenti anteriori, la soluzione di numerosi dubbii, di molte paure, di lunghe ricerche, di una meditazione attiva e persistente sul suo proprio passato. Il suo grido finale poteva ben essere l’ultima parola di un problema, di cui studiava le premesse da lungo tempo, l’ergo di un sillogismo che era costato, Dio sa quante veglie e quante preoccupazioni. Però chi lo sa? Il conte di Nubo non era comunicativo sulle sue evoluzioni psicologiche.

E’ non era di quella pasta d’uomini cui Orazio qualifica di fruges consumere nati — buoni tutto al più ad ingollare la loro polenta — come un deputato ministeriale. La sua esistenza, zeppa, poco ordinaria, era scorsa a cielo aperto, a cielo offuscato, nei chiarori del mezzodì sovente, più sovente ancora nei ciechi abissi della notte.


Tornato a Nicastro, e’ fece chiamare l’albergatore e gli disse:

— Io sarei curioso di contemplar da vicino e parlare al capo degli zingari, che ò visto stamane nella piazza della fiera. Potreste indurlo a venir qui?

— Nulla di più facile, eccellenza, se tuttavia non se l’è svignata dal paese.