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di tappa in tappa, e’ trascinava quello sguardo senza lume da una Santa Agnese di Velasquez ad una Santa Lucia di Ribalta, da un santo inquisitore di Zurbaran ad altri santi e ad altre sante del Domenichino, del Caravaggio, del Guido. — E non era neppur rapito da una splendida carola d’angeli dell’Albano.

Il brav’uomo si sarebbe addormentato, se un mozzoncello di paggio, trasformato per la bisogna in chierico, non gli avesse di tanto in tanto pizzicato i polpacci a sottecchi, e non l’avesse fatto di tempo in tempo trasalire.

Allora e’ sospirava, e guardava il bel masso d’iride che il sole, filtrando a traverso il rosone a vetri colorati sulla porta, stampava nel mezzo della cappella.

Come la primavera inneggiava al di fuori! Che brezza tiepida in que’ bei viali del parco — mentre che egli aggrinzava su quell’altare di marmo ove il buon Dio, egli stesso, doveva trovarsi a disagio! Come gli insetti e gli uccelli erano liberi sotto quella volta di cielo — mentre che egli — unto del Signore e bisunto del mondo — montava la guardia sotto quella volta di stucco e di legno, ed aspettava, e doveva aspettare chi sa ancora per quanto tempo!

La cappella era vuota.

Tranne il prete ed il paggio, una lampada di oro che oscillava, ed una polvere di oro, che formicolava in quel raggio di sole guizzato al di dentro, nulla movevasi, nè dava segno di vita.

Il rumore indietreggiava, pieno di riverenza o di paura.

Un inginocchiatoio, coverto di velluto cremisi, a fiordalisi, indicava che qualcuno doveva venire.

Poi, non una sedia, non una panca per chichessia. Quella cappella era un gabinetto privato, ove il buon Dio si recava per uso di qualche essere privilegiato, esclusivamente.

La porta che conduceva al di fuori era chiusa. Le tendine di seta verde delle tribune erano abbassate. Una portiera in velluto paonazzo, ornata di frange e di nappe d’oro, mascherava una porta laterale.

Il prete volgeva lo sguardo da quel lato con più persistenza ed ansietà, che verso i capolavori d’arte, i quali popolavano il luogo.