Pagina:Petruccelli della Gattina - I suicidi di Parigi, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/168

profondo, aveva fatto le campagne del 1813, 1814 e 1815 con gli eserciti sassoni e prussiani. Egli era accorso. Aveva fasciato il ferito. Aveva udito attentamente le poche parole cui il conte gli aveva diretto, a voce morente, ed aveva dichiarato che il caso era mortale. In seguito di che, aveva allontanati dalla camera tutt’i domestici del castello, ed erasi installato al capezzale del moribondo, assistito solo dal cameriere francese.

Tre giorni dopo, si era convenevolmente seppellita nella cappella del castello una cassa lunga, ornata di velluto, ripiena di vecchi scartafacci — che erano passati pel cadavere del conte Alessandro.

Quanto a costui, la notte precedente era stato trasportato, sur una barella, al castello del conte Alessio di Rumanzowski, a quattro verste dal castello di Lavandall.

Il giovane amico e sua moglie — una bella polacca — aiutati dal dottore, avean celato e salvato il conte Alessandro, cui tutta la Russia credeva morto. Egli era deciso a ricominciare, se guariva. Non voleva però attirar sul fratello l’imputazione terribile di questo accanimento ad ucciderlo.

Tutto gli era riescito a voglia.

Ed ora, eccolo ad aspettare all’Hôtel du Rhin l’ultimo motto del suo destino.

Era pronto ancora una volta a lasciarsi uccidere...

Il suo cameriere entrò ed annunciò:

— La signora principessa Maud di Lavandall.


Ella si era recata la mattina nell’appartamento di suo marito per dirgli questa parola magica:

— Io t’amo!

Il conte Alessandro si collocava di nuovo tra il principe e lei come un abisso.

Ritornata in camera, dopo la scena cui abbiamo raccontata alla fine del capitolo precedente, ella aveva dato ordine per la sua carrozza, e, d’un tratto, era venuta a Parigi.

Il conte Alessandro, steso per un divano, leggeva il Débats, aspettando Ivan, il principe stesso, i testimoni di lui, perfino il diavolo, anzi che la principessa.