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Un leggiero rossore colorò tosto le sue guancie, quando, avanzando verso un guéridon vicino al letto, vi scorse su un foglio piegato a foggia di lettera.

L’era una lettera, infatti, all’indirizzo di lui.

Il dottore la disuggellò lentamente.

Il carattere era tracciato da mano calma. La carta profumata.

— Vi è della premeditazione in questa lettera — si disse il dottore esaminandola — per conseguenza, delle cose false. Vediamo.

Il dottore leggeva a mezza voce. La lettera cominciava così:

«Bando al rancore, mio caro dottore. Io mi ribello.»

Il dottore sorrise e borbottò, decifrando la lettera:

— Che roba infame questa scrittura all’inglese! Le lettere si ecclissano nei profili. Non vi è più la persona in questo carattere: esso è chiunque.

«Io mi ribello.» Sta bene: lo si vede.

«Io scompiglio i vostri progetti. L’uomo a cui volevate confidare il mio destino, o piuttosto il nostro destino, onorevole e degno sotto ogni rapporto, non era di mia scelta. E’ non mi avrebbe lasciato mancar di nulla, nulla desiderare. Io sarei stata blasée, vecchia a venti anni!"

— Diavolo! — sclamò il dottore — che logica!

«Se voi foste stato mio padre, o anche mio zio, voi avreste forse osservato, conducendomi nel mondo, ove i miei sguardi volgevansi, chi faceva arrossir le mie guancie, brillare i miei occhi, tuffandomi in quello stupore che lambe la sciocchezza. Ma voi andavate nel mondo per conto vostro: io era per voi un refrattore — perchè non oso dire, la vostra ipoteca dell’avvenire.»

Il dottore passò la mano sulla sua fronte pallidissima e sospese per un istante la lettura. Aggrottava le sopracciglia.

— Molto bene! — sclamò poscia — Vediamo la fine.

«Io feci la mia scelta dal lato mio; ma all’antipodo della vostra. Che volete! Io adoro Victor Hugo: Spasimo per le antitesi!

— Ed io pure — mormorò il dottore.

«Al momento dunque in cui riceverete questa lettera, io sarò con la mia antitesi in una sedia di posta sullo stradale d’Inghilterra, ove andiamo a maritarci.»