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— Vel celarono. Tutta Parigi conobbe che io aveva toccato un rifiuto da quel conte alle piccole limosine. Viaggiai. Conobbi a Roma un’altra giovinetta. Ella era bella, figlia del popolo, artista, senza pregiudizi, povera, piana di spirito.... Al posto mio, altri avrebbe provato di farsi di lei una ganza. E perchè no? Kaunitz diceva a Maria Teresa: che ogni donna diviene ganza dell’uomo che può sborsarne il prezzo. Io aveva il prezzo di Aurora Mortier. La dimandai, al contrario, in matrimonio. Questa volta non mi diressi ai parenti, ma a lei stessa, alla persona interessata:

« — Mio bell’angelo — le dissi — questo fiore, che vi sembra sì bello, à un intacco; esso è stato morsicato da un bruco. Io sono epilettico.

«Aurora rinculò all’altra estremità dello studio, e gridò:

« — Giammai, principe, giammai! Io non mi caccierò mai in fra le braccia di un uomo che, volendomi dare un bacio, può spezzarmi la spina dorsale in un accesso di convulsione.»

— Insolente! — sclamò Alessandro.

— Ella aveva ragione — riprese il principe sospirando. Non è mancato di un mezzo secondo che codesto non sia capitato alla mia ultima.

— Alla principessa Maud? — sclamò Alessandro rabbrividendo.

— Sai tu ove ò io raccolto codesta principessa, conte Alessandro? Io mi dissi: l’aristocrazia non vuol di me; la borghesia non vuol di me; scandagliamo il nulla. Proviamo di una di quelle creature che non ànno nè padre, nè madre, che sono figlie della deboscia, della miseria, dell’onta, dell’adulterio, del delitto... chi lo sa? L’è la schiuma delle sentine delle grandi città. Ebbene, io discesi in un ospizio di trovatelli e ne cavai questo cencio.

— Quella stella! — gridò Alessandro con fermezza.

Il principe non fece attenzione a questo grido, e continuò.

— Con costei fui più generoso che con le altre. Le dissi che una grande sventura pesava sul capo mio. Le dissi che io era stato repulso due volte. Mi offersi a rivelarle tutto. La supplicai ginocchioni di non giudicarmi innanzi