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— Ah! se sapessero!... — mormorò Alessandro.

— Proprio così; perocchè, quando si seppe, il ritornello cangiò. Il tempo delle prove arrivò. Pensai ad ammogliarmi.

Alessandro abbrividì.

Il principe avvertì quel sussulto.

— Incontrai nei saloni di Parigi una stolidella, figlia di un conte mendicante, debosciato, spia della corte di Roma, strumento dei gesuiti. Io non avrei voluto toccare della punta delle dita la donzella, della punta dei piedi il padre. La chiesi in matrimoni e feci la corte al sacripante. Tutto vola sulle ali di oro, cui io appicco all’affare, e gli sponsali si fissano. Io condussi il padre nel suo gabinetto, e gli dissi:

« — Conte, ò un segreto a rivelarvi.

« — Che dunque? — sclamò il facchino — Sareste voi che avete ucciso l’imperatore Alessandro?

« — E se ciò fosse? — risposi io, facendomi violenza per non schiaffeggiarlo — mi rifiuteresti voi la vostra figliuola?

« — Io direi — replicò il conte — uccidete lo tzar Nicola.... Questo cancella quello. E vi consegnerei mia figlia.

« — Voi mi confortate — ripresi io con un sorriso di sprezzo non dissimulato. Ma io sono meno colpevole di così. Il mio segreto è questo: io sono epilettico.

Il conte si alzò e salutò.

« — Principe mio — diss’egli — se io avessi a fare ad un borghese arricchito, ad un plebeo liscivato alla savonnette à vilain, a cui io avessi promesso mia figlia per ragione dei suoi scudi, io direi: Puah! — E chiamerei il mio lacchè per ordinargli: Riconduci il signore!

« — Bene — sussurai io fremendo — ed a me che dite voi, signor conte?

« — Principe — continuò egli — voi sapete che io non amo mica mia figlia alla follia. Malgrado ciò, io ò la coscienza di dirvi: principe, permettetemi che io ritiri la mia parola. L’epilessia in Francia fa orrore. Essa è considerata come una malattia ridicola ad un tempo che sordida.»

— Noi non seppimo mai nulla di codesto — osservò Alessandro.