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Il principe fece una mossa come qualcuno che si risveglia di soprassalto, e fissò il suo sguardo freddamente violento e acuto sul sembiante aperto del giovane.

Il conte gli aveva tesa la mano.

E’ non toccolla.

— Pietro — disse il conte un po’ sconcertato dell’attitudine sinistra di suo fratello — mi avete fatto avvertire di venirvi a trovar qui. Sono felice di vedervi.

E stese di nuovo la destra, cui il principe si astenne dallo stringere.

— Conte Alessandro di Lavandall — sclamò egli infine di una voce lenta e cavernosa — avevate desiderato di conoscere il mistero della mia vita. L’avete conosciuto; l’avete visto.

— Fratello — mormorò il conte mettendosi le mani sul volto — io ne sono annientato.

— Io pure — continuò il principe senza porre mente alle parole del fratello — io pure, io, voleva sapere. O’ saputo; ò visto.

Alessandro impallidì e traballò.

— Ebbene — soggiunse il principe — poichè vi aveste il malanno di avvicinare le vostre labbra a questa coppa di fango e di lagrime, cioncatela tutta, fino alla belletta. Sappiatevi il resto.

Alessandro incrocciò le braccia sul petto, e restò impiedi, lo sguardo al suolo, l’aria costernata.

— Io sono un misero — sclamò il principe di una voce sorda e concentrata. A venticinque anni, colmo di tutti i favori della fortuna, io desidero la morte. Mi dicono avvenente; son di gran nascimento; sono ricco... e fo orrore! Io invidio la sorte del mendicante ebreo, cui i cani mordono all’uscio nostro: e’ non è che povero! Io mi ebbi bello ad interrogare la scienza. Questa cortigiana, non à sorriso per la sventura. Essa civetta con le piccole malattie. Biascica nonsensi, in presenza di quei castighi fatali che si addimandano tisi, apoplessia, epilessia, gotta, ed il resto. Mi son tuffato nello studio, nelle feste, nei viaggi, nei pericoli i più insensati, onde, almeno, obliare. In capo a tutto ò trovato quest’orrido spettro... Ed il mondo sclama sul mio passaggio: che à dunque fatto quest’uomo alla Provvidenza per strapparlo lo scrigno delle felicità?!