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— Povero me!

Noi passiamo oltre la descrizione delle feste.

Lo tzar Nicola e la tzarina mandarono un monille di diamanti alla giovane sposa, ed un invito pel castello dell’Hermitage.

A cinquanta leghe intorno, la nobiltà russa venne a visitare la nuova castellana, e tutti si accomiatarono incantati. Perocchè non è mestieri di dire che la storia misteriosa di questi due martiri restò sprofondata nei loro cuori.


Il carattere del principe Pietro non sorprese alcuno. Alla Corte stessa dello tzar erasi favellato dei suoi gusti da scienziato e della sua capacità; ciò che aveva occasionato il rumore, lo tzar lo avesse in vista per un posto diplomatico. Ma se tutti — e la vecchia principessa ella stessa — s’ingannarono, vi eran ben due occhi, i quali, non fissandosi mai sovra alcuna cosa, vedevan tutto e vedevano a fondo.

Un mese scorse.

Esso era sembrato un’eternità alla vecchia principessa, che l’aveva passato mezzo a sbadigliare, mezzo a correr dietro al suo giovano marito. Il quale, a volta sua, correva dietro alle giovani contadine del principe, quando non era ubbriaco. Questo soffri-amore di una civetta di cinquantatre anni, imbalsamata di divozione e d’ambizione, avrebbe destato pietà, se non fosse stato ridicolo.

Non avendo dunque ad esercitare nè l’ambizione, nè la civetteria, nè la divozione a parata, in quel tetro castello di Lavandall — ove un giovane sole esso stesso spegnevasi — la principessa Antonietta parlò di ritorno a S. Pietroburgo, onde assistere alle ultime feste della stagione.

Il suo figlio primogenito non la ritenne.

Il suo figlio cadetto la sollecitò a partire, promettendole di andarla presto a raggiungere.

Ed il conte polacco la rapì quasi, vedendosi sorvegliato da vicino — in questa residenza di provincia — dal suo terribile dragone.

Partirono.