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— Sovente — rispose la giovinetta.

— E vi rispondeste?

— Io nono ancora nelle tenebre, e...

— E?

— O’ paura, ma ò fede: temo, ma credo.

— Ebbene — sclamò il principe — il giorno in cui lo saprete, il giorno in cui dovrete giudicarmi, Maud, ve ne supplico a ginocchi, siate indulgente. Innanzi di pronunziare la prima parola che vi verrà alla bocca, fermatevi, guardate il cielo... e forse mi aprirete le braccia e direte: io vi perdono!

— Voi mi spaventate — mormorò la contessa tremando.

— No, figliuola mia. Imperciocchè voi non avete alcun delitto a perdonare, neppure una colpa.

— Ma allora?

— Allora vi sovvenga che potrete versare la felicità in una esistenza, riparare l’ingiustizia o il gastigo di Dio...e che vi amo. Sì, io vi amo.

— Oh! se potessi comprendere! — sclamò Maud con un movimento istintivo d’ingenuità.

— Se volete comprendere, e non credere, io mi spiego — rispose il principe con impeto. Ma ve ne supplico ancora, abbiate confidenza. O’ voluto parlarvi per dimandarvi questa grazia. Io transigo sul mistero della vostra nascita. Abbiate pietà del dolore della mia vita.

Maud si tacque per due minuti, poi chiese:

— Voi nascondete dunque un segreto?

— Sì.

— Se io avessi una madre, glielo rivelereste voi?

— Senza esitare.

— E quale sarebbe la condotta ch’ella terrebbe in questo caso?

— Un padre mi rifiutò la mano di sua figlia.

— Che condotta, credete voi, terrei io stessa, se mi parlaste?

— Un’altra donna, in una situazione identica, mi respinse.

Seguì un momento di silenzio.

Maud bassò gli occhi, mentre i colori si alternavano sul suo sembiante. Poi, alzandosi di un tratto, ella disse con una grande solennità, quasi la fosse nata in un castello:

— Principe di Lavandall, voi avete richiesta la mia mano?