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grazione, vi aveva mangiato il resto del suo patrimonio — cui Bonaparte gli aveva restituito, — e sciupato con una ballerina la sua parte del miliardo, cui i Borboni avevano avuto cura di fargli ben pingue, per compensarlo della sua fedeltà.

Questo conte non aveva voluto udire a parlare del ramo cadetto — gli Orléans — e viveva adesso di una dotazione sui fondi secreti di Roma, cui il cardinale Lambruschini gli aveva fissata, in considerazione dei servizi che aveva resi al partito cattolico.

Il conte di Perceval si era ammogliato, dopo la Ristaurazione, per piacere alla signora di Cayla per meglio servire la Congregazione. Di questo matrimonio aveva colto, o raccolto, la bella personcina che aveva danzato col principe di Lavandall — la signorina Antonietta di Perceval.

Senza essere proprio sciocca, madamigella di Perceval — forse per timidità esagerata — s’imponeva una grande sobrietà di risposte, un grande riserbo di giudizi. Di guisa che passava per fanciulla di poco spirito, e desolava coloro i quali, per cortesia, si trovavano obbligati a chiaccherare con lei. Malgrado ciò, e forse a causa di ciò, dopo quella sera, dovunque Antonietta di Perceval andò, il principe russo si mostrò anch’egli.

Secondo la sua abitudine, non prolungava di molto la sua presenza nei saloni. Ma, durante il poco tempo che vi restava, alcun’altra persona non aveva il privilegio di disputarlo alla signorina di Perceval. Breve, le cose giunsero al punto, che si cominciava a dimandarsi se non si fosse caduto in inganno nell’apprezzamento dello spirito di quella giovinetta.

Di un tratto poi il rumore si sparse, che madamigella di Perceval sposava il principe di Lavandall.

— Scherzate voi?

— Il duca di Saint-Cassan à fatto la dimanda di matrimonio ed è stata gradita.

— Impossibile.

— Gli è il duca stesso che me lo à detto.

— Ed a me il conte.

I commentari cessarono. Lo stupore però non cessò.

Infrattanto si preparava il cesto da nozze.