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Le tavole da whist assorbirono una parte della società. Alcuni giovani circondarono il piano, ove Regina con noncuranza si assise. Si ascoltava di già!

Regina suonò alla ventura, tutti i pezzi che le vennero a mente, sfiorando qua e là il suo repertorio di opere, di valtzer, d’inni, d’oratori, correggendo Lanner con Bach, Rossini con Beethoven, Musard con Bellini, Haydn con Donizetti, passando dal gaio al lugubre, dal canto fermo alla danza alata, e legando il tutto con fioriture della sua fantasia, folgorante come un razzo. Imperciocchè, artista d’istinto prima di esserlo per scienza, ella non possedeva quel talento da conservatorio che consiste a saltabeccare, a sgambettare con un’agilità di scimmia sulla tastiera dello strumento; ma aveva quel sentimento della melodia che è lo scintillìo della musica.

La musica non è uno sforzo a superare; è un’idea a creare. L’artista non è un gladiatore; è un mago.

Alberto si tenne vicino al piano, silenzioso, gli occhi ebbri. Gli altri sclamavano:

— Va, Regina: ancora, ancora!

Bisognava essere giuocatore di whist per non discontinuare la partita in mezzo a quella cascata di melodie. L’orologio scoccò, per rompere la fascinazione del giuoco. Infatti, l’orologio suonando mezzanotte, i giuocatori si alzarono.

Alla mezza, eran tutti partiti.

Il dottore, che aveva guadagnato, sbadigliò spaventevolmente ed andò a coricarsi.

Ad un’ora del mattino, non era più in casa alcuno che non dormisse.

O’ detto alcuno? No.

Regina non era neppure andata a letto.

La sua cameriera, Lisa, affastellava in un sacco da notte alcuni oggetti.

Quando le due donzelle si furono assicurate che il sonno chiudeva tutte le palpebre — perchè Lisa andò prudentemente ad ascoltare alle porte — esse scesero sulla punta dei piedi al salone.

Nick, il bel Terranuova, andò a leccare la mano di Regina e la guardò con occhi teneri e supplichevoli, quasi che avesse indovinato il disegno della fanciulla. Regina