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rimettetemi i poteri concentrati, la dittatura. Egli non mirava oramai che a questo, e non sognava che colpi di Stato.

In questo momento, l’esercito russo arrivato dal nord, sotto gli ordini di Paskevitch, formava un insieme di 130,000 uomini. Lo czar l’aveva passato in rivista a Zmygrod. Il granduca Costantino lo seguiva da dilettante. Di già Lüders, nel sud, aveva invaso la Transilvania, il 19 giugno, alla testa di 50,000 uomini. In breve, il 1.° luglio c’erano in Ungheria 191,587 Russi e 130,000 Austriaci. Contro questa massa formidabile l’Ungheria non potè opporre che 150,000 uomini sopra un’estensione immensa: per mancanza d’armi, non per mancanza d’uomini. Non potendo far fronte a quella valanga, si cercò la salvezza nella strategia. Dembinski concepì il piano di campagna, prendendo per base d’operazione il Banato, provvisto di due difese naturali, la Tisza e la Maros. Görgey, che era, l’ho già detto, incapace di formare egli stesso un piano, promise d’eseguire quello del suo inimico, piano, del resto, discusso ed approvato da un Consiglio di guerra. Ma egli non vi si conformò. E fece ancor peggio. Abbandonò il fiume Czonczo, che copriva la via di Buda-Pesth, e si ritirò nel campo trincerato di Comorn, lasciando il terzo Corpo isolato sulla Vag. Cinquantamila Austriaci vennero ad offrirci battaglia. L’accettammo senza esitare.

Il combattimento ebbe principio all’alba. Ad un’ora gli Austriaci, posti in rotta all’ala sinistra, piegavano anche al centro, sotto una irresistibile carica di ventiquattro squadroni di Ussari condotti da Görgey. Io ne comandava quattro, e fui testimonio