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un padrone. Ecco, per la lordura. Io l’amo, ecco la mia ragione.

— Lo so, rispose il principe, senza uscire dalla sua calma tempestosa; ecco perchè vi ho posto un dilemma, e non vi ho scacciata semplicemente.

— Il dilemma diviene inutile, dappoichè io non sono qui nè in casa di mio padre, nè in casa mia. Ah! pel principe di Nyraczi, una contessa.... che cosa? una contessa Tichter non è una lordura.

— Dei rimproveri, ora? Sono io forse che ha fatto codesto matrimonio? Non fui forse messo nella necessità di non poterlo rifiutare?

— Io aveva sedici anni allora.

— E cosa bisognava che io mi facessi, signora, la situazione essendo divenuta inesorabile?

— Uccidermi.

Il principe piegò il capo, e riflesse. Poi soggiunse:

— Hai ragione, Amelia, io fui un vile.

— Dunque, domani noi lasceremo il vostro palazzo.

— Noi! di già?

— Noi. Io sono vedova, non vi domando nulla, fuorchè la vostra benedizi....

— Giammai!

— Giammai. Che importa d’altronde? Non arriveremo forse mai a codesto punto. Gli avvenimenti si accalcano su di noi. Centomila Russi hanno già varcato il confine su tutti i punti; altri centomila ricalcan le tracce delle prime colonne; noi saremo schiacciati.

— Ed allora?

— Allora, voi sarete impiccato. Io mi ucciderò. L’altro sarà già caduto sopra un campo di battaglia qualunque.