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gheria la sua antica indipendenza, la sua nazionalità, la sua libertà, la sua esistenza duratura. Tale fu la nostra missione, la più santa fra le missioni.

«Rammentatelo quando di nuovo marcerete alla pugna!

«Molti fra voi credono che l’avvenire desiderato è fin d’ora conquistato. Non v’ingannate. Questa lotta pei diritti naturali dei popoli contro le usurpazioni della tirannia, non sarà soltanto sostenuta dall’Ungheria. Ed i popoli vinceranno dovunque! Voi non sarete forse testimoni della loro vittoria. Consacrandovi a questa lotta con fedeltà incrollabile, voi dovete essere fermamente risoluti a cadere vittime della più bella e della più gloriosa di tutte le vittorie.

«Rammentatelo quando di nuovo marcerete alla pugna!

«E siccome io ho la convinzione che non uno fra voi preferirebbe una miserabile esistenza ad una morte così gloriosa, e che voi tutti sentite come me che gli è impossibile di asservire una nazione, i cui figli eguagliano gli eroi di Szolnok, di Hatvan, di Tapio-Bicske, di Isaszeg, di Vacz, di Negy-Sarlo e di Komarom; per ciò, in mezzo anche allo spaventevole rumore delle battaglie, io d’ora in avanti non avrò per voi che un sol grido:

«Avanti, camerati, avanti.

«Rammentatelo quando di nuovo marcerete alla pugna!»

Avanti! gridavano le truppe come il capo. Avanti! Ma Görgey ritornava indietro. Per lui, il pericolo non stava a Vienna: stava a Pesth! Per lui, il nemico non era Francesco-Giuseppe, era Kossuth.