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induzione teneva il posto della divinazione. Come la rondinella, egli andava sempre dritto, senza riposare, senza stancarsi mai.

Estremamente sobrio, vestito d’una tunica grigia, egli è stato il più realmente semplice fra tutti gli eroi; colui che lo seppe meno, e meno se ne curò. Non carezzò mai l’ammirazione del pubblico. Non s’atteggiò in nessuna maniera, nè alla magnanimità, nè alla generosità, e neppure a quel disinteresse teatrale e sciocco, che abbaglia il popolaccio. La Dieta lo nominò luogotenente-maresciallo, e gli diede la decorazione di prima classe, ed egli accettò. Bem non prese niente, non domandò niente, ma sdegnò la parte volgare d’un Cincinnato da melodramma. Quando occorse farsi Turco, per aver la ventura di battersi contro la Russia e l’Austria, egli salutò la mezza-luna, e divenne pascià. Sarebbe andato in collera se i suoi, quelli che avevano fede in lui, come nel genio della guerra e della libertà — fede virile — l’avessero trattato niente niente come un Dio od un eroe. Bem rispettava la dignità umana, ed avrebbe arrossito di vederla oltraggiata dalla degradazione e dall’adulazione. Leale, franco, generosissimo, non invidiando nessuno, sapendosi ricco del suo, non imponendosi mai, non intrigando in nessuna maniera egli spaventò Görgey; il quale, confrontandosi con quella grandezza morale, si trovò piccolo ed abietto.

Perciò Görgey, quando fu ministro della guerra, tentò di disfarsi di Bem. Ma Kossuth lo sostenne.

La fulminante audacia dei suoi colpi di mano, la sicurezza che mostrava nella vittoria definitiva; una parola d’elogio senza enfasi, che sapeva dire a tempo e farne come un cammeo; le ricompense che non