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ciocche di capelli bianchi. Il fronte alto e largo, appena rugato, olimpico, torreggiava, e si rialzava negli angoli arrotondandosi. Esso conteneva più che una volontà, rivelava un carattere. Nulla di sanguinario, come nel cranio di Napoleone, ma un misto di scienziato e di poeta.

Bem abborriva il sangue. La prima sua parola, quando la vittoria pareva decisa, era: Basta! Il primo suo atto, quando entrava in una città o in un paese conquistato, era di proclamare l’amnistia. I suoi occhi grigi, mobili o fissi a volontà, avrebbero frugato nel fondo dell’Oceano. Nondimeno tutto vi risplendeva, potente, limpido e dolce a volta a volta, come in quelli d’un fanciullo di genio, che principia ad interrogare il mondo e la vita.

Bem non levava mai di bocca la sua pipa. La conservava dormendo; a tavola l’accarezzava colla mano, come il mento d’una bella amante. La sua parola era pittoresca. Amava le metafore, soprattutto nelle circostanze drammatiche, perchè allora la metafora dà precisione. La sua voce elettrizzava. Gli si credeva. E non pertanto alcuno degli uomini della sua tempera, a tipo leggendario, non ha sì poco sceneggiato il Messia ed il Mosè. Bem restava paterno, nello stesso tempo che realizzava la formula la più assoluta dell’autorità e della volontà, che s’impongono e che trionfano. Egli non comunicava i suoi disegni a nessuno, forse perchè aveva uno scopo e non aveva un metodo. Il suo genio, pieno di espedienti, di presenza di spirito, di slanci, di scintille, gli rivelava all’istante il nodo delle situazioni. La sua bravura era temeraria. Egli scorgeva tutto in un colpo d’occhio: l’insieme ed i particolari; la sua