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ritardo. Il pane, sempre un problema; senza tabacco.... e mai un lagno! Che voluttà quel far la guerra per un’idea, quando si ha fede in un capo dotato di tutte le grandezze morali! Ci fermammo il 21 davanti Nagy-Szeben, città circondata da un muro di cinta continuato, munita di pezzi da posizione, irta di bastite, di trinceramenti avanzati, difesa da 11,000 uomini, molte guardie nazionali, e 54 cannoni. Bem non aveva sotto i suoi ordini che 4,500 fantaccini e 450 cavalieri, che marciavano da quattro giorni, e 18 bocche da fuoco di piccolo calibro.

— Generale, devo comandare l’assalto? gli domandai.

— Per bacco!

— Non volete dunque attendere i 1,700 uomini che deve condurci Czetz?

— Mettiamoci a tavola, li attenderemo mangiando.

Egli lanciò la legione tedesca e i Siculi. Respinti. Li lanciò ancora. Respinti di nuovo. Li lanciò per la terza volta. Indietreggiarono.

— Avanti gli ussari, gridò Bem, mettendosi alla lor testa egli stesso.

Una grandine di mitraglia ci rovesciò.

— Czetz è arrivato, generale.

— Avanti tutti, allora.

Gli Austriaci escono in massa, con quattro batterie alla testa. L’ala sinistra ed il centro sono sfondati, i nostri fuggono. Puchner insegue. Bem resta indietro con uno squadrone degli ussari di Mathias ed una batteria, ch’egli punta in persona. Puchner si ferma, poi rientra nella città. Bem si stabilisce poco lungi, a Iselindek. Passano otto giorni. Il 30 gennaio, Puchner ritorna, e ci circonda.