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luna. Alla fine arrrivai alla frontiera della Transilvania, provincia che è una fortezza, circondata dai Carpazii, aperta all’Ungheria soltanto per tre porte: tre gole.

Bem mi aveva preceduto di sei giorni.

Lo raggiunsi, il 22 dicembre, nella direzione di Deez, e gli presentai il dispaccio di Kossuth. Dico male dispaccio, dovrei dire viglietto. Bem, entrando al servizio dell’Ungheria, aveva posto per condizione di non dipendere direttamente che da Kossuth, dal capo del Governo.

— Dall’amico, avea risposto Kossuth. E gli tenne parola.

Kossuth gli scriveva queste semplici righe:

«Amico mio, t’invio un giovanotto, che vuol farsi uccidere, o divenire generale. Ha il diavolo in corpo, cioè un amore nel cuore, ove irradiansi i due più bei occhi di myosotis dell’Ungheria. Fa ciò che puoi per questi due ragazzi. Prendi il capitano per aiutante di campo, e sarai più felice di me; la giovine donna abbraccierà forse la tua testa calva».

Bem fissò su di me i suoi grigi occhi d’aquila. Ci scrutammo scambievolmente. E da quel momento fummo amici.

— Sta bene, disse il generale, vi prendo per mio aiutante. In sella.

L’esercito di Transilvania, diviso in tre corpi, ammontava in tutto a 10,950 uomini d’infanteria, 1335 cavalieri, e 24 cannoni; la metà guardie nazionali. Il generale austriaco comandava a 20,000 uomini di truppe regolari, e a diverse migliaia di leve in massa, Valacchi e Sassoni, provvisti di 60 cannoni, e divisi pure in tre colonne. I corpi ungheresi coman-