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I soldati lo amavano: essi non scorgevano che la persona; gli ufficiali, eccetto i suoi fidi, lo detestavano, e diffidavano di lui: gli leggevano nel cuore.

Görgey disprezzava tutto quanto non fosse militare. Considerava il civile come un intruso, un intrigante, un imbecille. Kossuth, che l’avea creato, cadeva sul suo cuore abbietto come una goccia d’acido solforico, che brucia senza posa e senza pietà. Görgey sapeva eseguire con molta abilità i piani altrui, ma era incapace di concepirne uno egli stesso. Il suo spirito mancava d’iniziativa, egli non possedeva la bussola dell’indefinito. Dopo una vittoria, non sapeva più che farne. La pletora del successo pesava sopra di lui, e lo rendeva inetto, come l’eccesso dell’amore uccide l’amore. Tutte le sue passioni occulte insorgevano allora, ed egli si consumava nel nasconderle o nel coprirle sotto una forma onesta, se l’esplosione gli preparava un ostacolo. Tutto era virile in lui. Niente era elevato. La sua intelligenza nuotava nella visione delle grandezze le più sfrenate, mentre doveva imporsi una condotta moderata. Egli sentiva tutta la superiorità morale ed intellettuale di Kossuth. L’Ungheria intera accarezzava questa credenza, esprimeva questa convinzione. Görgey intraprese un’opera di tenebre, a capo della quale, smascherando le sue batterie, egli doveva far ricadere il suo paese al fondo d’un precipizio. Ragno del male, egli tesseva la tela del disastro per avvilupparvi un’opera divina, la risurrezione d’un popolo!

Görgey aveva l’anima austriaca. Egli non comprendeva dunque nè la libertà, nè la nazionalità, nè l’indipendenza, nè l’autonomia di una razza, nè la supremazia e la maturanza d’una civiltà. Egli si bat-